Terminano le recite de La Bohème di G. Puccini al Teatro La Fenice di Venezia, con una bellissima regia di Francesco Micheli ed i coloratissimi costumi di Simona Aymonino.
Nella Bohème pucciniana sono riconoscibili due elementi fondamentali: la scapigliatura e il dualismo romanticismo/realismo. Quest’ultimo si riscontra proprio nel libretto dell’opera, tra la poesia sentimentale del protagonista Rodolfo e il macabro realismo della morte di Mimì. Puccini quindi può essere inserito in quell’evoluzione musicale del tardo ottocento dove il linguaggio teatrale e musicale diventa rivoluzionario; la musica è armonizzata con elementi di tradizione ma con nuove soluzioni drammaturgiche che si ritrovano nell’opera verista, creando così quella personalissima logica musicale. A tutto ciò va aggiunto che proprio grazie ai due librettisti “scapigliati”, Illica e Giacosa, è da attribuire il variegato ed innovativo linguaggio che la sapienza di Puccini trasforma in intensità musicale.
L’opera pucciniana, in cartellone da otto anni ormai, è sempre ben voluta e seguita dal pubblico, come ben accetta ed applaudita è stata la regia di Francesco Micheli (del 2011), ripresa da Stefania Panighini con le scene di Edoardo Sanchi, in cui si ritrova la giusta rievocazione della Parigi di fine Ottocento. Pur essendo una messa in scena moderna, Micheli riesce ad inserire in modo semplice ma efficare quei dettagli significativi che arricchiscono il palcoscenico e ne completano intelligentemente la narrazione.
La Bohème si apre con una cornice incastonata in un sipario sul proscenio, sul quale brillano centinaia di lampadine che disegnano una cartolina dove vengono messe in evidenza le sagome delle maggiori attrazioni della città francese; dietro a questo sipario velato si svolge l’azione del primo atto, la soffitta, con lo sfondo di comignoli e tetti parigini, immancabili rievocazioni in quest’opera. Nel secondo atto, invece, molto più frizzante, predominano festini e lustrini nelle vie parigine del quartier latin al di sotto del quale corre la Metrò, che ha trasportato le folle cittadine giunte nel quartiere più bohèmienne di Parigi. E’ qui che lo spettacolo si fa spettacolo. Il Terzo ed il quarto atto ritornano ad essere più tradizionali, ma ben congegnati e funzionali.
I bei costumi di Sonia Aymonino, ben centrati nell’epoca, completano questa cornice parigina fatta di gente comune, come i protagonisti, di aristocratici, e da coloratissime donnine del Moulin Rouge.
Precise ed efficacissime le luci e gli effetti visivi curati da Fabio Barettin.
Per quanto riguarda la parte musicale iniziamo con il cast che in quest’ultima recita non si è risparmiato ed ha regalato al folto pubblico in sala ben più di un emozione.
La protagonista, Mimì, è Vittoria Yeo, giovane soprano dal bel colore brunito, padrona della scena: la sua linea di canto è sicura e ben focalizzata sul personaggio, anche se qualche incertezza vocale è da sottolineare sul registro medio grave. Crescerà con l’esperienza, ma il materiale vocale è molto buono.
Accanto a lei il suo amato Rodolfo, interpretato da Azer Zada, giovane tenore che ha affrontato la parte con semplicità e senza forzature, forse un po’ altalenante la resa che ha denotato una certa stanchezza vocale, specie sugli acuti nel terzo e quarto atto, con qualche defaillance sulla quale si può assolutamente sorvolare: comunque promosso a pieni voti.
I tre scanzonati amici di Rodolfo sono stati: Bruno Taddia (Marcello), dal bel timbro vocale; Francesco Salvadori (Schaunard) e Andrea Patucelli (Colline). Ben amalgamati vocalmente e scenicamente i tre comprimari hanno reso perfettamente i personaggi dell’opera, arricchendo l’interpretazione con qualche più che apprezzato momento di recitazione. Antagonista di Mimì è stata la spumeggiante Musetta di Rosanna Lo Greco: frizzante interprete in questo ruolo pucciniano ha dimostrato grandi doti attoriali coadiuvate da una voce che rispondeva perfettamente ai civettuoli stimoli musicali. Bel piglio, intonazione e un fraseggio molto curato la fanno emergere tra i colleghi del cast di quest’opera.
Completano il cast: Matteo Ferrara (Benoit/Alcindoro), Dionigi D’Ostuni (Parpignol), Bo Schunnesson (un venditore ambulante), Emiliano Esposito ( un sergente dei doganieri), Antonio Casagrande (un doganiere).
Bravi e precisissimi i Piccoli Cantori Veneziani curati dal maestro Diana D’Alessio, così come l’Orchestra della Fenice che, in questa serata, sono stati diretti dal Maestro Stefano Ranzani (alternatosi con Francesco Lanzillotta a seguito dell’infortunio del Maestro Chung). Ranzani offre una sfavillante direzione dai ritmi serrati, senza mai cadere nel mieloso, anche se in qualche momento non sarebbe guastato un po’ di romanticismo in più. Ottimo il feeling con il palcoscenico, non solo con i protagonisti ma anche con il Coro del Teatro La Fenice, istruito da Claudio Marino Moretti.
Grandi applausi finali agli artisti hanno portato al pieno successo quest’ultima recita di Bohème .
Salvatore Margarone
La recensione si riferisce alla recita del 25 marzo 2018
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